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jueves, 28 de julio de 2022

DEBERES DEL ESTADO CATÓLICO PARA CON LA RELIGIÓN

Conferencia dada por el cardenal Alfredo Ottaviani el 2 de Marzo de 1953 en el aula magna del Pontificio Ateneo Lateranense, publicada in memóriam en la revista Cristianità, n. 52-53 (Agosto-Septiembre de 1979).
  
DEBERES DEL ESTADO CATÓLICO PARA CON LA RELIGIÓN, SEGÚN EL MAGISTERIO TRADICIONAL DE LA IGLESIA
  
Premisa 
No habría pensado en dar a la prensa la conferencia que tuve el 2 de marzo de 1953 en el aula magna del Pontificio Ateneo Lateranense, si no ne hubiese llevado a esto el gran número de las peticiones que me vinieron de los publicistas y de los miembros del cuerpo docente de distintos institutos de estudios superiores, los cuales han insistido sobre la oportunidad de divulgar cuanto dije en aquella solemne reunión (1). 
   
«Por mucho tiempo –me escribió un distinguido religioso– que el derecho público de la Iglesia no conoce sino las reservadas aulas de los institutos eclesiásticos, mientras es urgente la necesidad de divulgarlo en medio de todos los sectores sociales, sobre todo entre los más elevados.
  
La prensa calla por principio, dirigida como es por hombres que tienen el culto de la liertad mucho más que el de la verdad […]. La pérdida general a que asistimos, las perplejidades de los hombres de Estado y los mismos enormes errores que se cometen en las híbridas uniones entre Estados y partidos requieren que el problema capital entre Estado e Iglesia sea puestoapértis verbis, que se maneje largamente y con la mayor claridad, y, sobre todo, sin miedo.
  
El coraje cristiano es la virtud cardinal que se llama fortaleza».
  
Todas estas vivas insistencias me han convencido cómo hoy, más que en cualquier otro tiempo, sea necesario que todo sacerdote y todo laico que colabora en el apostolado del clero imite, en la medida de lo posible, el ejemplo del divino Maestro, el cual dijo de sí: «Ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti» (2).
  
Alguno, tal vez, notará que no he dado nombres de autores, aunque alguna vez presente textualmente algunas afirmaciones. Me he abstenido por dos motivos: ante todo, porque poco importa saber que ciertas ideas son sostenidas por uno o por otro escritor, cuando son talmente difundida, que no se pueden considerar más como propias de algún individuo; además, he querido seguir la norma de San Agustín, que enseña a combatir no a los errantes sino al error. Y con esto me he atenido también al programa y al ejemplo del augusto Pontífice gloriosamente reinante, que ha asumido como lema de su pontificado: «Veritátem faciéntes in caritáte» (3). 
  
Roma, 25 de marzo de 1953 
A. Card. Ottaviani
Che i nemici della Chiesa abbiano in ogni tempo osteggiata la sua missione, negandole alcune – o anche tutte – le sue divine prerogative e i suoi poteri, non fa meraviglia.
   
L’impeto dell’assalto, con i suoi fallaci pretesti, proruppe già contro il divino Fondatore di questa bimillenaria e pur sempre giovane istituzione: contro di lui si gridò – come si grida tuttora «Nólumus hunc regnáre super nos!» (4).
   
E con la pazienza e la serenità che le viene dalla sicurezza dei suoi profetati destini, e dalla certezza della sua divina missione, la Chiesa canta nei secoli: «Non éripit mortália qui regna dat cœléstia» (5).
   
Sorge invece in noi la meraviglia, e cresce fino allo stupore, e si effonde in mestizia, quando il tentativo di strappare le spirituali armi di giustizia e di verità dalle mani di questa Madre benefica che è la Chiesa viene effettuato proprio dai figli: ed anche da quei figli che, trovandosi in Stati interconfessionali, vivendo in continuo contatto coi fratelli dissidenti, dovrebbero sentire più di ogni altro il dovere di gratitudine verso questa Madre che ha sempre usato dei suoi diritti per difendere, custodire, salvaguardare i propri fedeli.
   
¿Iglesia carismática e Iglesia del derecho? 
Oggi si ammette da alcuni nella Chiesa soltanto un ordine pneumatico, e viene quindi affermato il principio che la natura del diritto della Chiesa è in contraddizione con la natura della Chiesa stessa.
   
Secondo essi, l’elemento originale sacramentale andrebbe sempre più affievolendosi, per dar posto all’elemento della giurisdizione, che ora è la forza e la potenza della Chiesa; prevalse l’idea, come asserisce il giurista protestante Sohm, che la Chiesa di Dio è costituita come lo Stato.
   
Ma il can. 108, § 3, dove si parla della esistenza nella Chiesa del potere di ordine e del potere di giurisdizione, si richiama al diritto divino. E che questo richiamo sia legittimo, lo dimostrano i testi evangelici, le allegazioni degli Atti degli Apostoli, le citazioni delle loro Lettere, frequentemente addotte dagli autori di diritto pubblico ecclesiastico, per provare l’origine divina degli enunciati poteri e diritti della Chiesa.
   
Nella enciclica Mystici Corporis l’augusto Pontefice felicemente regnante si esprimeva, a tal proposito, nei seguenti termini:
«[…] reprobamos […] el funesto error de los que sueñan con una Iglesia ideal, a manera de sociedad alimentada y formada por la caridad, a la que ―no sin desdén― oponen otra que llaman jurídica. Pero se engañan al introducir semejante distinción, pues no entienden que el divino Redentor, por este mismo motivo, quiso que la comunidad por Él fundada fuera una sociedad perfecta en su género y dotada de todos los elementos jurídicos y sociales: para perpetuar en este mundo la obra divina de la redención[44]. Y para lograr este mismo fin, procuró que estuviera enriquecida con celestiales dones y gracias por el Espíritu Paráclito» (6).
Non vuole quindi la Chiesa essere uno Stato; ma il suo divin Fondatore l’ha costituita società perfetta con tutti i poteri inerenti a tale condizione giuridica, per svolgere la sua missione in ogni Stato senza contrasti tra le due società, di cui egli è in diverso modo autore e sostegno. 
   
Adhesión al Magistero ordinario 
E qui sorge il problema della convivenza della Chiesa con lo Stato laico. Vi sono dei cattolici che, su questo argomento stanno divulgando idee non del tutto a posto. 
   
A molti di tali cattolici non può negarsi né l’amore alla Chiesa, né la retta intenzione di trovare una via di possibile adattamento alle circostanze dei tempi. Ma non è men vero che la loro posizione rispecchia quella del delicatus miles che vuol vincere senza combattere, o quella dell’ingenuo che accetta una insidiosa mano tesa, senza rendersi conto che quella mano lo trarrà poi a passare il Rubicone verso l’errore e l’ingiustizia.
   
Il primo torto di costoro è proprio quello di non accettare in pieno le arma veritatis e gli insegnamenti che i Romani Pontefici in quest’ultimo secolo, in modo particolare il regnante Pontefice Pio XII, con encicliche, allocuzioni e ammaestramenti d’ogni sorta, hanno impartito in proposito ai cattolici.
   
Essi, a propria giustificazione, affermano che nel complesso dell’insegnamento impartito nella Chiesa occorre distinguere una parte permanente e una caduca, dovuta, quest’ultima, al riflesso di particolari condizioni temporanee.
  
Purtroppo, però, estendono ciò anche ai princìpi affermati nei documenti pontifici, principi sui quali si è mantenuto costante l’insegnamento dei Papi, facendo essi parte del patrimonio della dottrina cattolica.
  
En esta materia, la teoría del péndulo, introducida por algunos escritores al examinar el alcance de las encíclicas en las distintas épocas, no puede aplicarse.
   
«La Iglesia –fue escrito– marca la historia del mundo como un péndulo que, atento a conservar la medida, mantiene su movimiento interviniendo cuando piensa haber llegado al máximo de amplitud […]. Desde este ángulo se tendría por hacer toda una historia de las encíclicas; así, en materia de estudios bíblicos, la Divíno afflánte Spíritu sigue a la Spíritus Paráclitus y a la Providentíssimus. En materias de teología de la política, la Summi Pontificátus, la Non abbiamo bisogno, y la Ubi arcáno Dei siguen a la Immortale Dei» (7).
   
Ora, se questo fosse inteso nel senso che i principi generali e fondamentali di diritto pubblico ecclesiastico, solennemente affermati nella Immortale Dei, riflettono soltanto momenti storici del passato, mentre poi il pendolo degli insegnamenti enciclicali di Pio XI e di Pio XII sarebbe passato nella sua «inversione», a posizioni diverse, la cosa sarebbe da ritenersi del tutto erronea, non solo perché non rispondente al contenuto delle encicliche stesse, ma anche perché inammissibile in linea teoretica.
   
Il regnante Pontefice nella Humani generis ci insegna come dobbiamo accettare nelle encicliche il Magistero ordinario della Chiesa:
«Ni hay que creer que las enseñanzas de las Encíclicas no exijan de suyo el asentimiento, por razón de que los Romanos Pontífices no ejercen en ellas la suprema potestad de su Magisterio. Pues son enseñanzas del Magisterio ordinario, del cual valen también aquellas palabras: “El que a vosotros oye, a Mí me oye” (Lc. 10, 16); y la mayor parte de las veces, lo que se propone e inculca en las Encíclicas, ya por otras razones pertenece al patrimonio de la doctrina católica» (8).
Col timore di essere accusati di voler tornare al Medioevo, alcuni nostri scrittori non se la sentono di tenere le posizioni dottrinali che sono state costantemente affermate nelle encicliche, come appartenenti alla vita e al diritto della Chiesa di ogni tempo. E per costoro il monito di Leone XIII, il quale, raccomandando la concordia e l’unità nel combattere l’errore, aggiunge: «[…]; e da questo lato bisogna stare bene in guardia di non lasciarsi andare ad essere conniventi all’errore, o ad opporgli più debole resistenza, che la verità non comporti» (9). 
   
Deberes del Estado católico
Toccata questa preliminare questione del doveroso assenso agli insegnamenti della Chiesa, anche nel suo Magistero ordinario, veniamo ad una questione pratica che, in termini usuali, potremmo dire «scottante»: quella, cioè, di uno Stato cattolico e delle relative conseguenze di fronte ai culti non cattolici. 
   
È noto che in alcuni paesi, con popolazioni in assoluta maggioranza cattolica, nelle rispettive Costituzioni la religione cattolica viene proclamata religione dello Stato. Citerò, a modo di esempio, il caso più tipico, quello della Spagna.
   
Nel Fuero de los Españoles, la carta fondamentale dei diritti e dei doveri del cittadino spagnolo, all’articolo 6 viene stabilito quanto segue:
«La práctica y profesión de la religión católica, que es la del Estado español, gozará de protección oficial.
    
Ninguno será molestado por sus creencias religiosas ni por el ejercicio privado de su religión.
   
No existe autorización para manifestaciones o ceremonias externas aparte de las de la religión católica». 
Ciò ha sollevato le proteste di molti acattolici e di miscredenti; ma, quel che più dispiace, è considerato come anacronistico anche da alcuni cattolici, che pensano poter la Chiesa convivere pacificamente, e nel pieno possesso dei propri diritti, nello Stato laico, pur composto di cattolici.
   
È nota la controversia, svoltasi recentemente in un paese d’oltre oceano, tra due autori di opposte tendenze, nella quale il sostenitore della tesi sopra accennata afferma:
  1. el Estado, propiamente hablando, no puede realizar un acto de religión (el Estado es un simple símbolo o un conjunto de instituciones);
  2. «un pasaje inmediato del orden de la verdad ética y teológica al orden de la ley constitucional es, en vía de principio, dialécticamente inadmisible» (10). Esto es, la obligación del Estado al culto de Dios no podría entrar nunca en la esfera constitucional;
  3. finalmente, también para un Estado compuesto por católicos no hay la obligación de profesar la religión católica; sino la obligación de protegerla, esto no deviene operante sino en determinadas circunstancias, y precisamente cuando la libertad de la Iglesia no puede ser garantizada de otra manera.
Vengono, perciò, mossi attacchi all’insegnamento esposto nei manuali di diritto pubblico ecclesiastico, non ponendosi mente che tale insegnamento è basato, in massima parte, sulla dottrina esposta nei documenti pontifici.
  
Ora, se c’è verità certa e indiscutibile tra i principi generali del diritto pubblico ecclesiastico, è quella del dovere dei governanti in uno Stato composto nella quasi totalità di cattolici e, conseguentemente e coerentemente, retto da cattolici, di informare la legislazione in senso cattolico. Il che importa tre immediate conseguenze:
  1. la profesión social y no solamente privada de la religión del pueblo;
  2. la inspiración cristiana de la legislación;
  3. la defensa del patrimonio religioso del pueblo contra todo asalto de quien quisiera quitarle el tesoro de su fe y de la paz religiosa.
Ho detto in primo luogo che lo Stato ha il dovere di professare anche socialmente la sua religione. 
  
Gli uomini socialmente uniti, non sono meno sotto la sudditanza di Dio, di quanto lo siano come singoli, e la società civile, non meno dei singoli, è debitrice verso Dio, «dal quale essa riconosce l’essere, la conservazione e tutto quel cumulo immenso di beni che ha nel suo seno» (11).
  
Quindi, come a nessun individuo è lecito trascurare i suoi doveri verso Dio e verso la religione, con la quale Dio vuole essere onorato, allo stesso modo «gli Stati non possono, senza empietà, condursi come se Dio non fosse, o passarsi della religione come di cosa estranea e di nessuna importanza» (12).
  
Pio XII rafforza l’insegnamento, condannando «l’errore contenuto in quelle concezioni, le quali non dubitano di sciogliere l’autorità civile da qualsiasi dipendenza dall’Ente supremo, causa prima e signore assoluto sia dell’uomo che della società, e da ogni legame di legge trascendente, che da Dio deriva come da fonte primaria, e le concedono una facoltà illimitata di azione, abbandonata all’onda mutevole dell’arbitrio o ai soli dettami di esigenze storiche contingenti e di interessi relativi» (13).
  
E proseguendo, l’augusto Pontefice mette in evidenza quali disastrose conseguenze anche per la libertà e per i diritti dell’uomo derivino da tale errore: «Rinnegata, in tal modo, l’autorità di Dio e l’impero della sua legge, il potere civile, per conseguenza ineluttabile, tende ad attribuirsi quella assoluta autonomia, che solo compete al Supremo Fattore, e a sostituirsi all’Onnipotente, elevando lo Stato o la collettività a fine ultimo della vita, a criterio sommo dell’ordine morale e giuridico (14).
  
Ho detto, in secondo luogo, che è dovere dei governanti di informare la propria attività sociale e la legislazione ai principi morali della religione. 
  
È una conseguenza del debito di religiosità e di sottomissione dovuto a Dio non soltanto individualmente ma anche socialmente, e ciò con sicuro vantaggio del vero benessere del popolo.
   
Contro l’agnosticismo morale e religioso dello Stato e delle sue leggi Pio XII ribadiva il concetto dello Stato cristiano nella sua augusta lettera del 19 ottobre 1945 per la XIX Settimana Sociale dei cattolici italiani in cui si doveva studiare appunto il problema della nuova Costituzione:
«Ben riflettendo sulle conseguenze deleterie, che una costituzione la quale, abbandonando “la pietra angolare” della concezione cristiana della vita, tentasse di fondarsi sull’agnosticismo morale e religioso, porterebbe in seno alla società e nella sua labile storia, ogni cattolico comprenderà facilmente come ora la questione che, a preferenza di ogni altra, deve attirare la sua attenzione e spronare la sua attività, consiste nell’assicurare alla generazione presente e alle future il bene di una legge fondamentale dello Stato, che non si opponga a sani principii religiosi e morali, ma ne tragga piuttosto vigorosa ispirazione, e ne proclami e ne persegua sapientemente le alte finalità» (15).
Il Sommo Pontefice, a questo proposito, non ha mancato di tributare «la lode dovuta alla saggezza di quei governanti che, o sempre favorirono, o vollero e seppero rimettere in onore, con vantaggio del popolo, i valori della civiltà cristiana, nei felici rapporti fra Chiesa e Stato, nella tutela della santità del matrimonio, nella educazione religiosa della gioventù» (16).
  
In terzo luogo ho detto essere dovere dei governanti di uno Stato cattolico di difendere da ogni incrinatura l’unità religiosa di un popolo che si sente unanimamente nel sicuro possesso della verità religiosa. Su questo punto sono numerosi i documenti in cui il Santo Padre afferma i principi enunciati dai suoi predecessori, specialmente da Leone XIII.
  
Nel condannare l’indifferentismo religioso dello Stato, Leone XIII, mentre nell’enciclica Immortale Dei si appella al diritto divino, nell’enciclica Libertas si appella anche ai principi di giustizia e alla ragione. Nella Immortale Dei mette in evidenza come non possano i governanti «elegir indiferentemente una religión entre tantas [religiones]» (17), porque –explica– están obligados, en el culto divino, a seguir aquellas leyes y aquellos modos con los cuales Dios mismo ha ordenado que quiere ser honrado, «en la forma con que el mismo Dios ha querido que se le venere» (18). E nell’enciclica Libertas incalza, appellandosi alla giustizia e alla ragione: «La justicia, por tanto, prohibe, y la razón misma prohibe, al Estado ser ateo; o adoptar una linea de acción que termine en la impiedad, a saber, tratar a las varias religiones (como ellos las llaman) como iguales, y otorgarles promiscuamente derechos y privilegios iguales» (19).
  
Si appella il Papa alla giustizia e alla ragione, perché non è giusto attribuire gli stessi diritti al bene e al male, alla verità e all’errore. E la ragione si ribella al pensiero che, per deferire alle esigenze di una piccola minoranza, si ledano i diritti, la fede e la coscienza della quasi totalità del popolo e si tradisca questo popolo, permettendo agli insidiatori della sua fede di portare in mezzo ad esso la scissione con tutte le conseguenze della lotta religiosa. 
  
Firmeza de principios
Questi principi sono saldi e immobili: valsero ai tempi di Innocenzo III, di Bonifacio VIII, valgono ai tempi di Leone XIII e di Pio XII, che li ha riaffermati in più di un suo documento. Per questo egli con severa fermezza ha anche richiamato i governanti ai loro doveri, appellandosi al monito dello Spirito Santo, monito che non conosce limiti di tempo: «Insistentemente se ha de suplicar a Dios –dijo Pío XII en la encíclica Mystici Corporis– que todos cuantos están al frente de los pueblos amen la sabiduría de tal suerte que jamás caiga sobre ellos aquella gravísima sentencia del Espíritu Santo: “El Altísimo examinará vuestras obras y escudriñará los pensamientos porque, siendo ministros de su reino, no habéis juzgado rectamente ni observado la ley de la justicia, ni habéis procedido según la voluntad de Dios. De manera espantosa y repentina se os presentará, porque se hará un riguroso juicio de aquellos que ejercen potestad sobre otros. Porque con los pequeños se usará misericordia, mas los poderosos sufrirán grandes tormentos. Porque Dios no exceptuará persona alguna ni respetará la grandeza de nadie; ya que Él ha hecho al pequeño y al grande y cuida por igual de todos”» (20).
   
Riferendomi, poi, a quanto ho detto sopra circa la consonanza delle encicliche messe in questione, sono sicuro che nessuno potrebbe dimostrare che vi sia un’oscillazione qualsiasi, in materia di questi principi, tra la Summi Pontificatus di Pio XII, le encicliche di Pio XI Divini Redemptoris contro il comunismo, Mit brennender Sorge contro il nazismo, Non abbiamo bisogno contro il monopolio statale del fascismo e le precedenti encicliche di Leone XIII Immortale Dei, Libertas Sapientiæ christianæ. 
   
«Las últimas, profundas, lapidarias, fundamentales normas de la sociedad –proclama el augusto Pontífice en el radiomensaje de Navidad de 1942– no pueden ser violadas por obra del ingenio humano; se podrán negar, ignorar, despreciar, quebrantar, pero nunca se podrán abrogar con eficacia jurídica» (21). 
  
Los derechos de la verdad
Ma qui occorre risolvere un’altra questione, o meglio una difficoltà, così speciosa, che, a prima vista, sembrerebbe insolubile.
  
Ci si obietta: voi sostenete due criteri o norme d’azione diverse, secondo che vi fa comodo: nel paese cattolico sostenete l’idea dello Stato confessionale, col dovere di protezione esclusiva della religione cattolica; viceversa, dove voi siete una minoranza, reclamate il diritto alla tolleranza o addirittura alla parità dei culti: quindi due pesi e due misure; una vera duplicità imbarazzante, della quale i cattolici, che tengono conto degli sviluppi attuali della civiltà, vogliono sbarazzarsi.
    
Ebbene, appunto due pesi e due misure sono da usarsi: l’uno per la verità, l’altro per l’errore.
  
Gli uomini, che si sentono in sicuro possesso della verità e della giustizia, non vengono a transazioni. Essi esigono il pieno rispetto dei loro diritti. Coloro invece che non si sentono sicuri del possesso della verità come possono esigere di tener soli il campo, senza farne parte a chi ama il rispetto dei propri diritti in base ad altri princìpi?
  
Il concetto di parità di culto e di tolleranza è un prodotto del libero esame e della molteplicità delle confessioni. È una logica conseguenza delle opinioni di coloro che ritengono, in fatto di religione, non esservi posto per i dogmi, e che soltanto la coscienza dei singoli individui dia il criterio e la norma per la professione della fede e l’esercizio del culto. E allora, in quei paesi dove vigono queste teorie, quale meraviglia che la Chiesa cattolica cerchi di avere un posto per svolgere la sua divina missione, e cerchi di farsi riconoscere quei diritti che, per logica conseguenza dei principi adottati dalle legislazioni di quei paesi, può reclamare?
   
Essa vorrebbe parlare e reclamare in nome di Dio: ma presso quei popoli non è riconosciuta l’esclusività della sua missione. E allora si contenta di reclamare in nome di quella tolleranza, di quella parità e di quelle comuni garanzie cui si ispirano le legislazioni dei paesi in questione.
   
Quando nel 1949 si tenne ad Amsterdam la riunione delle varie chiese eterodosse per il progresso del movimento ecumenico, erano in quel convegno rappresentate ben 146 chiese o confessioni diverse, I delegati presenti appartenevano a circa 50 nazioni: vi erano calvinisti, luterani, copti, vecchi cattolici, battisti, valdesi, metodisti, episcopaliani, presbiteriani, malabarici, avventisti, ecc.
   
La Chiesa cattolica, che si sente già nel sicuro possesso della verità e dell’unità, non doveva, logicamente, essere presente, per cercarvi quell’unione che gli altri non hanno.
   
Ebbene, dopo tante discussioni, i convenuti non si trovarono d’accordo nemmeno per una comune celebrazione finale della cena eucaristica, che doveva essere il simbolo della loro unione, se non nella fede, almeno nella carità: tanto che nella sessione plenaria del 23 agosto 1949 il dott. Kraemer, calvinista olandese, poi direttore del nuovo Istituto Ecumenico di Celigny in Svizzera, faceva osservare che sarebbe stato meglio omettere qualsiasi cena eucaristica, invece di manifestare tanta divisione, facendo molte cene separate.
   
In tali condizioni di cose – dico io – potrebbe una di queste confessioni, convivente con le altre, o anche predominante in uno stesso Stato, assumere una posizione intransigente ed esigere quello che la Chiesa cattolica si attende da uno Stato in grande maggioranza cattolico?
   
Non deve, quindi, far meraviglia se la Chiesa si richiami almeno ai diritti dell’uomo, quando sono misconosciuti i diritti d Dio!
   
Questo essa fece nei primi secoli del cristianesimo, di fronte all’impero e al mondo pagano: questo continua a fare oggi, specialmente là dove ogni diritto religioso è negato, come nei paesi sotto la dominazione sovietica.
   
Il regnante Pontefice, dinanzi alle persecuzioni, cui son fatti oggetto tutti i cristiani – in prima fila i cattolici – come poteva non appellarsi ai diritti dell’uomo, alla tolleranza, alla libertà delle coscienze, quando appunto di questi diritti vien fatto sì detestabile scempio?
   
Tali diritti dell’uomo egli rivendicò in ogni campo della vita individuale e sociale nel suo messaggio natalizio del 1942, e, più recentemente, nel messaggio natalizio del 1952, a proposito delle sofferenze della «Chiesa del silenzio».
   
Appare chiaro, quindi, quanto a torto si voglia far credere che quel riconoscimento dei diritti di Dio e della Chiesa, che si ebbe in passato, sia inconciliabile con la civiltà moderna, quasi che fosse un regresso accettare il giusto e il vero di tutti i tempi.
  
A un ritorno del Medioevo accenna, per esempio, il seguente testo di un noto autore:
«La Iglesia Católica insiste en el principio que la verdad debe tener ventaja sobre el error, y que la religión verdadera, cuando es conocida, debe ser ayudada en su misión espiritual de preferencia a las religiones en las cuales el mensaje está más o menos defectuoso y en que el error se mezcla con la verdad. Es esya una simple consecuencia de cuánto el hombre debe a la verdad. Sería todavía tan falso concluir que este principio no puede aplicarse sino reclamando para la verdadera religión los favores de un poder absolutista o la asistencia de las persecuciones, y que la Iglesia Católica reivindique de las sociedades modernas los privilegios que ha gozado en una sociedad de tipo sagrada, como la del Medioevo» (22).
Per fare il proprio dovere un governante cattolico d’uno Stato cattolico non ha bisogno di essere un assolutista, né un mero poliziotto, né un sagrestano, né di tornare al complesso della civiltà del Medioevo.
   
Un altro autore obietta:
«Casi todos aquellos que hasta ahora buscaban reflexionar sobre el problema del pluralismo religioso chocaban contra un peligroso axioma, esto es, que solo la verdad tiene derechos, y que el error no tiene derechos […].
  
En realidad, por todas las partes se nota hoy que este axioma es falaz. No es que queramos reconocerle derechos al error, sino simplemente, señalamos esta verdad manifiesta, esto es, que ni el error ni la verdad, que son abstracciones, son sujetos de derechos, capaces de tener derechos, o de crear un deber recíproco entre persona y persona» (23).
Mi sembra, invece, che la verità lapalissiana consista piuttosto in questo: ossia che i diritti in questione sono ottimamente subiettati negli individui i quali si trovino in possesso della verità, e che uguali diritti non possono esigere gli individui a titolo del loro errore.
   
Ora nelle encicliche da noi citate risulta che il primo soggetto di questi diritti è proprio Iddio: dal che consegue che sono nel vero diritto solo coloro che obbediscono ai suoi mandati e sono nella sua verità e nella sua giustizia. 
   
In conclusione, la sintesi delle dottrine della Chiesa in questa materia è stata, anche nei nostri giorni, chiarissimamente esposta nella lettera che la Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi inviava ai vescovi del Brasile il 7 marzo 1950. Questa lettera, che si richiama continuamente agli insegnamenti di Pio XII, tra l’altro mette in guardia contro gli errori del rinascente liberalismo cattolico, il quale «admite y alienta la separación de los dos poderes. Niega a la Iglesia Católica el poder indirecto sobre las materias mixtas. Afirma que el Estado debe mostrarse indiferente en materia religiosa […]; que se debe conceder la misma libertad a la verdad y al error; que a la Iglesia no competen privilegios y favores o derechos superiores a los concedidos a las otras confesiones religiosas, ni en los países católicos» (24) e via di seguito. 
   
Contraste de legislaciones
Trattata la questione sotto l’aspetto dottrinale e giuridico, mi si permetta di fare un piccolo excursus di aspetto pratico.
  
Intendo parlare della differenza e della sproporzione tra il clamore sollevato contro i principi su esposti, attuati nella Costituzione spagnola, e lo scarso risentimento che viceversa tutto il mondo laicista ha dimostrato per il sistema legislativo sovietico, oppressivo di ogni religione. Eppure, abbondano per le conseguenze di quel sistema, i martiri che languiscono nei campi di concentramento, nelle steppe della Siberia, nelle prigioni, senza contare le schiere di coloro che, con la vita e con tutto il loro sangue, ne hanno sperimentato fino all’estremo l’iniquità.
   
L’art. 124 della Costituzione staliniana, promulgato nel 1936, intimamente connesso con le leggi sulle associazioni religiose degli anni 1929 e 1932, dice testualmente:
«A fin de garantizar a los ciudadanos la libertad de conciencia, la Iglesia en la URSS está separada del Estado, y la escuela, de la Iglesia. Se reconoce a todos los ciudadanos la libertad de culto y la libertad de propaganda antirreligiosa».
A parte l’offesa fatta a Dio, a ogni religione e alla coscienza dei credenti, garantendo con la Costituzione la piena libertà di propaganda antireligiosa – propaganda che si esercita nel modo più licenzioso – occorre mettere in chiaro in che cosa consista la famosa libertà di fede garantita dalla legge bolscevica.
   
Le norme vigenti che regolano l’esercizio dei culti sono raccolte nella legge del 18 maggio 1929, la quale dà l’interpretazione del corrispondente articolo della Costituzione del 1918, e al cui spirito è informato l’articolo 124 della Costituzione attuale. È negata ogni possibilità di propaganda religiosa, e garantita solo la propaganda antireligiosa. Per quanto riguarda il culto, esso viene permesso solo nell’interno delle chiese; è vietata ogni possibilità di formazione religiosa, sia con discorsi, sia con la stampa, coi giornali, libri, opuscoli, ecc.; è impedita qualsiasi iniziativa sociale e caritativa, e le organizzazioni che s’ispirano a questo ideale sono prive di ogni diritto fondamentale di prodigarsi per il bene del prossimo.
  
A prova di ciò, basta leggere l’esposizione sintetica che di tale stato di cose fa un russo sovietico, l’Orleanski, nel suo opuscolo circa la Legge sulle associazioni religiose nella Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa:
«Libertad de profesión religiosa significa que la acción de los creyentes en la profesión de sus propios dogmas religiosos está limitada al ambiente mismo de los creyentes y se considera estrictamente ligada con el culto religioso de una o de otra religión tolerada en nuestro Estado […]. Por consecuencia, toda actividad propagandista y agitadora por parte de hombres de iglesia o de religiosos tanto más de los misioneros– no puede considerarse como actividad permitida a ellos por la ley sobre asociaciones religiosas, sino que se considera como excediendo los límites de la libertad religiosa tutelada por la ley y deviene, por tanto, objeto de las leyes penales y civiles, por cuanto las contradice» (25).
La lotta contro la religione, poi, è condotta dallo Stato anche nel campo di tutte quelle attività che la pratica del Vangelo porta con sé, sia nei riguardi della morale, sia nei riguardi dei rapporti sociali tra uomini. I sovietici hanno ben compreso che la religione è intimamente connessa con la vita dei singoli e della collettività: per combattere, quindi, la religione ne soffocano ogni attività nel campo educativo, morale e sociale. Ecco in proposito la testimonianza di un sovietico:
«El propagandista antirreligioso debe recordar que la legislación soviética, aunque reconociendo en cada ciudadano la libertad de realizar actos de culto, limita al mismo tiempo la actividad de las organizaciones religiosas que no tienen el derecho de inmiscuirse en la vida político-social de la URSS. Las asociaciones religiosas pueden ocuparse única y exclusivamente de los asuntos concernientes al ejercicio de su culto y de ninguna otra cosa. Los sacerdotes no pueden dar a la luz publicaciones oscurantistas, hacer propaganda en las fábricas u oficinas, en los koljós [constracción de коллективное хозяйство/kollektívnoye jozyáistvo (“granja colectiva”), N. del T.], en los sovjós [contracción de советское хозяйство/soviétskoye jozyáistvo (“granja soviética”), N. del T.], en los clubes y en las escuelas, de sus ideas reaccionarias y anticientíficas. Basado en la ley del 8 de abril de 1929, está prohibido a las asociaciones religiosas fundar cajas de socorro mutuo, cooperativas, sociedades productivas y en general servirse de los bienes que se encuentran a su disposición para otros fines que no entren en el ámbito de las necesidades religiosas» (26).
Prima, quindi, di lanciare la pietra contro i governanti cattolici, che compiono il proprio dovere nei riguardi della religione dei loro cittadini i tutori dei «diritti dell’uomo» dovrebbero preoccuparsi di una situazione così oltraggiosa fatta alla dignità dell’uomo, a qualsiasi religione esso appartenga, da un potere tirannico, che grava su di un terzo della popolazione di tutto il mondo (27)! 
  
Cultos tolerados
Anche la Chiesa riconosce la necessità in cui possono trovarsi alcuni governanti di paesi cattolici di concedere, per gravissime ragioni, la tolleranza agli altri culti. «No concediendo, en tanto, derecho alguno salvo a lo que es verdadero y honesto, la Iglesia Católica no prohibe a la autoridad pública el tolerar lo que está en desacuerdo con la verdad y la justicia, por motivo de evitar un mayor mal, o para obtener o preservar un mayor bien» (28).
   
Ma tolleranza non vuol dire libertà di propaganda, fomentatrice di discordie religiose e turbatrice del sicuro e unanime possesso della verità e della prassi religiosa in paesi come l’Italia, la Spagna e altrove.
  
Riferendosi alle leggi italiane sui «culti ammessi», Pio XI scriveva:
«Culti “tollerati, permessi, ammessi”: non saremo Noi a fare questione di parole. La questione viene del resto non inelegantemente risolta distinguendo fra testo statutario e testo puramente legislativo: quello per se stesso più teorico dottrinale, e dove sta meglio “tollerati”; questo inteso alla pratica e dove può stare pure “permessi ammessi”, purché ci si intenda lealmente: purché sia e rimanga chiaramente e lealmente inteso che la Religione cattolica è, e sol’essa, secondo lo Statuto ed i Trattati, la Religione dello Stato con le logiche e giuridiche conseguenze di una tale situazione di diritto costitutivo, segnatamente in ordine alla propaganda […].  
  
Non è ammissibile che siasi intesa libertà assoluta di discussione, comprese cioè quelle forme di discussione, che possono facilmente ingannare la buona fede di uditori poco illuminati, e che facilmente diventano dissimulate forme di una propaganda, non meno facilmente dannosa alla Religione dello Stato e, perciò stesso, anche allo Stato e proprio in quello che ha di più sacro la tradizione del popolo italiano e di più essenziale la sua unità» (29).
Ma gli acattolici che vorrebbero venire ad evangelizzare i paesi, dove è partita e si è diffusa per loro la luce del Vangelo, non si contentano di quello che ad essi accorda la legge, ma vorrebbero, contro la legge, e senza nemmeno sottostare alle prescritte modalità, avere piena licenza di infrangere l’unità religiosa dei popoli cattolici. E si lamentano, se i governi chiudono cappelle, aperte perfino senza la debita autorizzazione, o espellono i così detti «missionari», entrati nel paese per scopi diversi da quelli dichiarati per ottenere i permessi.
   
È significativo, poi, che in una tale campagna hanno tra i più forti alleati e difensori i comunisti, i quali, mentre in Russia proibiscono ogni propaganda religiosa e stabiliscono ciò nel citato articolo della Costituzione, sono, invece zelantissimi nell’appoggiare tutte le forme di propaganda protestante in paesi cattolici.
   
Purtroppo negli Stati Uniti di America, dove molti fratelli dissidenti ignorano alcune circostanze di fatto e di diritto, che riguardano i nostri paesi, c’è chi imita lo zelo dei comunisti per protestare contro la conclamata intolleranza a danno dei missionari inviati ad «evangelizzarci»!
   
Ma – di grazia – perché si dovrebbe negare alle autorità italiane di fare in casa propria quello che le autorità americane fanno nel loro paese, quando applicano, in virga ferrea, leggi tendenti ad impedire l’ingresso nel loro territorio o anche ad espellere da esso coloro che vengono considerati come pericolosi nei riguardi di certe ideologie e nocivi alle libere tradizioni e istituzioni della patria?
   
D’altra parte, se i credenti d’oltre Oceano, i quali raccolgono fondi per i loro missionari e per i neofiti da essi conquistati, sapessero che la maggior parte di tali «convertiti» sono autentici comunisti, ai quali non importa né punto né poco di cose religiose, se non in quanto si tratta di fare dispetto al cattolicismo, mentre importa loro moltissimo di usufruire delle elargizioni che arrivano copiosamente da oltre Oceano, credo che ci penserebbero più di una volta prima di mandare quanto, in ultima analisi va a finire ad incoraggiare il comunismo! 
   
En el templo y fuera del templo
Un’ultima questione che ha frequenti ritorni di attualità. Trattasi della pretesa di coloro che vorrebbero determinare, essi, secondo il proprio arbitrio o le proprie teorie, la sfera di azione e di competenza della Chiesa, per poterla accusare, ove oltrepassasse tale sfera, di politicantismo. 
   
È la pretesa di tutti coloro che vorrebbero chiudere la Chiesa nelle quattro mura del tempio, separando la religione dalla vita, la Chiesa dal mondo.
  
Ora, più che alle pretese degli uomini, la Chiesa deve stare ai mandati di Dio. «Prædicáte Evangélium omni creatúræ» (30). E la buona novella si riferisce a tutta la Rivelazione, con tutte le conseguenze che essa porta per la condotta morale dell’uomo, di fronte a sé stesso, nella vita domestica, nel senso del bene della polis. 
  
«Religione e morale – insegna l’augusto Pontefice – nella loro stretta unione costituiscono un tutto indivisibile; e l’ordine morale, i comandamenti di Dio valgono egualmente per tutti i campi dell’attività umana, senza eccezione alcuna: fin dove questi giungono, si estende anche la missione della Chiesa, e perciò anche la parola del sacerdote, il suo insegnamento, le sue ammonizioni, i suoi consigli ai fedeli affidati alle sue cure. La Chiesa cattolica non si lascerà mai chiudere nelle quattro mura del tempio. La separazione fra la religione e la vita, fra la Chiesa e il mondo è contraria alla idea cristiana e cattolica» (31).
   
In particolare, con apostolica fermezza, il Santo Padre prosegue:
«L’esercizio del diritto di voto è un atto di grave responsabilità morale, per lo meno quando si tratta di eleggere coloro che sono chiamati a dare al Paese la sua Costituzione e le sue leggi, quelle in particolare che toccano, per esempio, la santificazione delle feste, il matrimonio, la famiglia, la scuola, il regolamento secondo giustizia ed equità delle molteplici condizioni sociali. Spetta perciò alla Chiesa di spiegare ai fedeli i doveri morali, che da quel diritto elettorale derivano» (32).
E ciò non già per ambizione di terreni vantaggi, non per strappare ai civili il potere cui Essa non può, non deve aspirare – «non éripit mortália qui regna dat cœléstia»! – ma per il regno di Cristo, ma perché vi sia la «Pax Christi in Regno Christi» (33); per questo la Chiesa non desiste dal predicare, insegnare e lottare fino alla vittoria.
   
Per lo stesso fine essa soffre, lacrima e versa sangue.
  
Ma questa del sacrificio è appunto la via per la quale la Chiesa suole arrivare ai suoi trionfi. Ciò ricordava Pio XII nel suo radiomessaggio natalizio del 1941:
«Nos miramos hoy, amados hijos, al Hombre-Dios, nacido en una cueva para levantar de nuevo al hombre a aquella grandeza de la que había caído por su culpa, para volverlo a colocar en el trono de libertad, de justicia y de honor que los siglos de los dioses falsos le habían negado. El fundamento de aquel trono será el Calvario; su ornamento no será el oro o la plata, sino la sangre de Cristo, sangre divina que hace veinte siglos corre por el mundo y tiñe de púrpura las mejillas de su Esposa, la Iglesia, y, purificando, consagrando, santificando, glorificando a sus hijos se convierte en luz del cielo.
  
¡Oh Roma cristiana!, esa sangre es tu vida» (34)
   
Card. Alfredo Ottaviani
Notas (de Cristianità): 
(1) Transcribimos el texto de la conferencia del opúsculo editado en 1953 por la Libreria del Pont. Ateneo Lateranense y hace tiempo agotado. La transcripción –con pequeñas modificaciones gráficas– está aligerada de referencias bibliográficas, que son puestas al pie. Las diferentes citas en latín o en lenguas extranjeras son dadas en traducción, sirviéndose –cuando es posible– de las que son más fácilmente accesibles en nuestra lengua. También, todas las notas son de la redacción. 
(2) «He venido al mundo para dar testimonio de la verdad» (Juan 18, 37). 
(3) «Siguiendo la verdad con amor» (Ef. 4, 15): divisa del Papa Pío XII.
(4) «¡No queremos que este hombre reine sobre nosotros!» (Lucas 19, 14).
(5) «No usurpa los reinos terrenales quien da los celestiales» (Oficio de la Epifanía).
(6) PÍO XII, Enciclica Mystici Corporis, del 29-6-1943, in AAS, vol. XXXV, p. 224. Sottolineatura dell’Autore.
(7) L’Encyclique «Humani generis» in Témoignage chrétien, 1-9-1950, p. 2.
(8) PÍO XII, Enciclica Humani generis, del 12-8-1950, in AAS, vol. XLIII, p. 568.
(9) LEÓN XIII, Enciclica Immortale Dei, dell’1-11-1885. in Acta Leonis XIII, vol. V, pag. 148. Sottolineatura dell’Autore.
(10) Testo di p. John Courtney Murray SJ, cit. in p. Sotillo L. R., S. J., Compendium Juris Publici Ecclesiastici, 2ª ed., Sal Terræ, Santander 1951, n. 206 ter, p. 191.
(11) LEÓN XIII, Enciclica Immortale Dei, cit., p. 122.
(12) Ibid., p. 123.
(13) PÍO XII, Enciclica Summi Pontificatus, del 20-10-1939, in AAS. vol. XXXI. p. 466.
(14) Ibidem
(15) IDEM, Lettera per la XIX Settimana Sociale dei Cattolici italiani, del 19-10-1945, in AAS, vol. XXXVII, p. 274. Sottolineatura dell’Autore.
(16) IDEM, Radiomessaggio al mondo intero, del 24-12-1941, in AAS, vol. XXXIV, p. 13.
(17) LEONE XIII, Enciclica Immortale Dei, cit., p. 123.
(18) Ibidem. 
(19) IDEM, Enciclica Libertas, del 20-6-1888, in Acta Leonis XIII, vol. VIII, p, 231.
(20) PIO XII, Enciclica Mystici Corporis, cit., p. 244.
(21) IDEM, Radiomessaggio al mondo intero, del 24-12-1942, in AAS, vol. XXXV, pp. 13-14.
(22) JACQUES MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1977, p. 24.
(23) ROBERT RONQUETTE SJ, Le problème du pluralisme religieux, in L’Église et la liberté, Semaine des Intellectuels Catholiques (4/10-5-1952), Pierre Moray, Flore-Parigi 1952, p. 220.
(24) SACRA CONGREGAZIONE DEI SEMINARI E DELLE UNIVERSITÀ, Lettera ai vescovi del Brasile de recta clericorum institutione rite provehenda, del 7-3-1950, in AAS, vol. XLII, p. 841.
(25) N. ORLEANSKI, Ley sobre las asociaciones religiosas en la República Socialista Federal Soviética Rusa, por el Sóviet central de los ateos militantes de la URSS, Bezboznik, Moscú 1930, p. 224. Sottolineature dell’Autore.
(26) Costituzione staliniana e libertà di coscienza, in Sputnik antireligioznika, Mosca 1939, pp. 131-133.
(27) A quien quisiese una actualización sobre el tema –aunque pensando que la referida es legislación estalinistas…– señalamos a GIOVANNI CODEVILLA, Le comunità religiose nell’URSS. La nuova legislazione sovietica, La Casa di Matriona, Milán 1978, del cual traemos la significativa presentación en cuarto de portada: «El 23 de junio de 1975, a pocas semanas de la firma de los acuerdos de Helsinki, el Presídium del Sóviet Supremo de la República socialista federativa soviética de Rusia (RSFSR) ha aprobado un ucase que introduce substanciales modificaciones en materia de asociaciones con finalidad religiosa (parroquias) de los años 1929-1932. Disposiciones análogas emanaron en las otras repúblicas de la Unión Soviética. Tales numerosas innovaciones (por otra parte realizadas anteriormente a 1975 mediante “circulares confidenciales”), que restringen posteriormente el angosto espacio de tolerancia concedido a los creyentes, son adecuadamente revisadas en este libro a la luz de la nueva Constitución soviética de octubre de 1977. En el libro se traen, además del texto completo del ucase de 1975, los actos normativos fundamentales soviéticos en materia de libertad religiosa». Del mismo autor, se puede ver con provecho Stato e Chiesa nell’Unione Sovietica, Jaca Book, Milán 1972; sobre el mismo tema cfr. también IGOR. R. ŠAFAREVIČ, La legislazione religiosa nell’URSS. trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1976.
(28) LEÓN XIII, Enciclica Immortale Dei, cit., p. 141.
(29) PÍO XI. Lettera Ci si è tramandato, al cardinale Gasparri, del 30-5-1929, in Actes de S.S. Pie XI, Maison de la Bonne Presse, Parigi 1934, vol. V., pp128-29.
(30) «Predicad el Evangelio a toda criatura» (Mc. 16, 15).
(31) PÍO XII, Discorso ai Parroci e Quaresimalisti di Roma, del 16-3-1946, in AAS, vol. XXXVIII, p. 187. Sottolineatura dell’Autore.
(32) Ibidem. 
(33) «La paz de Cristo en el reino de Cristo»: divisa del Papa Pío XI.
(34) PÍO XII, Radiomessaggio al mondo intero, del 24-12-1941, cit., pp. 19-20.

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